FRANCESCO JOVINE

Francesco Jovine nasce a Guardialfiera il 9 ottobre 1902 da Angelo e Amalia Loreto, famiglia di contadini e piccoli proprietari terrieri. Durante la sua infanzia trascorsa accanto al padre ha modo di seminare e coltivare il profondo amore per la sua terra d’origine, elemento chiave dei suoi racconti. In casa è presente una modesta biblioteca, Jovine ha così modo di mostrare un prematuro interesse per la letteratura, infatti, alla tenera età di nove anni, ha già scritto dieci capitoli di un romanzo e, ad undici, il primo canto di un poema. E’ così che abbandona presto gli studi all’istituto tecnico di Larino per poi conseguirli presso il magistrale di Velletri e successivamente di Città Sant’Angelo, dove ottiene il diploma di maestro nel 1918.

Inizia così una carriera da insegnante nelle scuole private di Maddaloni e di Vasto. Nel 1922 Jovine è costretto a tornare dopo essere stato chiamato a Roma per il servizio militare. Il rifiuto della disciplina e del militarismo causano numerose punizioni in cella, di cui approfitta per intensificare gli studi storico-filosofici e per prepararsi al concorso magistrale. Dopo il servizio militare ottiene l’abilitazione magistrale insegnando a Guardialfiera e, a partire dal 1925,a Roma, dopo aver conseguito una laurea nella Facoltà di magistero ,diventando così direttore didattico, preferendolo a quello d’insegnante di ruolo proprio per potersi dedicare più specificatamente alla saggistica e alla narrativa.

E’ proprio in questo periodo che Jovine conosce la scrittrice Dina Bertoni che sposa nel 1928 e che gli resterà accanto per tutta la vita. Trovandosi in una situazione difficile e precaria, ritiene opportuno allontanarsi dall’Italia e accettare un incarico d’insegnamento, dapprima a Tunisi, dove rimane per due anni poi al Cairo. Jovine, rientrato in Italia nel maggio 1940, trova una situazione politica ancora più pesante e un clima di completa omologazione culturale. Jovine, rientrato, in Italia nel maggio 1940, trova una situazione politica ancora più pesante e un clima di completa omologazione culturale. Decide quindi di frequentare i pochi intellettuali che ancora conservano autonomia di giudizio, instaurando un legame duraturo, fatto di amicizia e stima reciproca.

In questo periodo è collaboratore delle riviste “Oggi” e “L’Italia letteraria”, e dei quotidiani “Il Mattino”, “Il Popolo di Roma” e “Il Giornale d’Italia”, dove pubblica nel 1941 una serie di articoli sul suo Molise, che saranno raccolti in volume e pubblicati postumi nel 1967 con il titolo “Viaggio in Molise“.

Nel 1942 appare il romanzo “Signora Ava” , ambientato negli anni del passaggio del paese nativo di Guardialfiera al Regno d’Italia, durante il quale nulla cambia per i contadini del paese: rimane il latifondo che li condanna a un destino di miseria e rimane al potere la vecchia classe dirigente. Questo romanzo, nel 1975 , diventa uno sceneggiato televisivo di ottimo livello, diretto dalla regia di Antonio Calenda. 

L’ultimo romanzo di Jovine è “Le terre del Sacramento”, pubblicato nel 1950 pochi giorni dopo la prematura morte dello scrittore. Costituisce il suo più grande capolavoro, vincitore del Premio Viareggio e riconosciuto dalla critica per la sua moralità e per la sua bravura nel riuscire a descrivere determinate situazioni in modo del tutto nuovo. Qui vengono narrate le vicende, negli anni del primo dopoguerra, di un antico feudo ecclesiastico che va in rovina a causa dell’incapacità e degli sperperi del proprietario.

Sono diverse le opere e tante le pagine di Jovine da cui si evincono sentimenti e sensazioni forti:  “Un uomo provvisorio” , “Signora Ava” , “L’impero in provincia” , “Tutti i miei peccati” e “Le Terre del Sacramento”. Basa le sue narrazioni soprattutto su quelle che sono le proprie esperienze dirette. E’ grazie al contatto con la civiltà e gli intimi rapporti con la vita paesana che riesce a proiettare le vicende autobiografiche ed il dolore della vita meridionale, con la capacità di guardare dentro al proprio mondo. La lotta per il progresso della sua Terra Amata, la voglia di riscatto, l’operosità e la dignitosa sofferenza sono tutte emozioni che plasmano gli scritti di Jovine e leggendo è difficile non dare peso a quelli che sono argomenti come “l’umiliazione dell’emigrazione” , la mancata libertà e le frustrazioni di una giovinezza a dir poco inesistente. Jovine è il poeta degli umili, perchè ha vissuto in mezzo loro. Comprende il loro linguaggio, la loro antica sapienza, fatta di proverbi e aforismi, insieme ad una consapevole malinconia. Basa la sua ideologia sui rapporti cultura-natura e coscienza-storia, fondamentali in un contesto simile. E’ proprio qui che, purtroppo, affiora una realtà segnata dall’ignoranza e dalla paura, che rende l’uomo influenzabile sul lavoro e sul pensiero.

“Il contadino molisano è ordinariamente taciturno; non dice che l’indispensabile; abitante di una terra difficile, aspra, scoscesa, rotta,
a pendii rocciosi, a sassaie aride, ha nelle vene l’asprezza della lotta per vivere.”

                                                                         ( F. Jovine )

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